Pubblicato su Paperstreet il 15/1/2016
di Adriano Sgobba
All’entrata di alcuni cimiteri campeggia la scritta: “Venite vivi a visitare i morti prima che morte a visitar vi venga”.
Questo benvenuto da Campo Santo potrebbe suonare macabro, da scongiuri a mani basse, eppure è un esempio di quell’istintivo quanto necessario esorcismo della fine che mettiamo in pratica inventandoci una qualche vita dopo la vita, o ironizzando sulla morte, rendendola un gioco, uno scherzo.
Dunque una deviazione dall’inevitabile, un paradosso, un “DoppioSenso Unico”, che a teatro può trovare piena realizzazione: il duo Ruocco-Talarico – cui il Teatro dell’Orologio dedica la trilogia Niente di nuovo sotto il suolo, in scena fino al 17 gennaio – vive (o si potrebbe dire “muore”) di questo.
La variante E.K. è quindi un gioco, una scorrazzata per capitoli e variazioni sul tema della grande mietitrice: sulla scena solo uno sgabello e, sul fondo, un tavolo su cui giacciono gli strumenti (maschere e oggetti Stefania Onofrio) che verranno utilizzati per condurre un malcapitato spettatore verso un suicidio (più o meno) consapevole.
Scelta la pedina di questa scalata verso l’inesorabile, il duo comico – che sembra quasi una proiezione carnificata del “cappellaio matto” e del “leprotto marzolino” di Alice nel Paese delle meraviglie – inizia a stropicciare con il livore del non-senso i concetti su cui si fonda l’idea, tutta occidentale, del suicidio, del martirio, della morte: si passa dal Far West con tanto di cavalli vestiti di cattiveria antropomorfa e portatori di bara/bar/biro/bora/baro/bari, fino ai passaggi più incisivi in cui viene messo in discussione il dualismo cattolico tra martirio e suicidio, con un Cristo spocchioso che dall’alto del suo pulpito/croce deve arrendersi (e noi con lui) all’immobilismo e rinunciare alla sua millantata onnipotenza.
Nella non-narrazione costruita dai DoppioSenso Unico si avverte la vicinanza – talvolta al limite della sovrapposizione – dell’esperienza targata RezzaMastrella, ad esempio nella modulazione funzionale della voce, o nella costruzione di alcuni dei quadri che compongono lo spettacolo; nessuna accusa di mancata originalità, solo un’identità che forse deve ancora fortificarsi per diventare autonoma e più incisiva. Viene in mente anche la comicità di un altro duo, Lillo&Greg, rintracciabile proprio nella caratterizzazione surreale della composizione drammaturgica, in quel distacco da spiritelli dispettosi, che si pone come dispositivo per far cadere gli accenti tonici del non- senso, là dove è proprio la sovrabbondanza di sensi a restare schiacciata nell’enorme equivoco del conformismo, dell’angolazione di veduta univoca rispetto a qualsivoglia argomento.
Alla fine però l’esorcismo si compie e quel suicidio rimane sospeso, invertito e divertito: se proprio bisogna morire, sarà una risata meditata a seppellirci.