RAPPORTO CONFIDENZIALE | Ceci n’est pas cinéma

DoppioSenso Unico. Intervista a Ivan Talarico sulla sorprendente creatività fuori tempo massimo degli ultimi dadaisti.

articolo pubblicato su Rapporto Confidenziale numero12 febbraio’09 (pag.34-43)

di Alessio Galbiati

 

Rapporto ConfidenzialeCeci n’est pas une pipe.

Ceci n’est pas cinéma.

DoppioSenso Unico.

Intervista a Ivan Talarico.

Appunti sparsi disordinatamente.

Intro.

 

DoppioSenso Unico ha realizzato a partire dal 2004 una cospicua serie di operazioni artistiche (ad)operando linguaggi differenti. Musica, immagine in movimento, teatro, fotografia. Sono giovani e senza finanziamento alcuno, underground ancorati ad una estetica agghindata da inizio secolo (scorso) per il secolo in corso, memoria immaginaria d’un fare Arte parodistico e parossistico. Ivan Talarico, Luca Ruocco e Lorenzo Vecchio dal 2004, incontrandosi, decidono di dare vita ad una propria compagnia teatrale che in breve tempo s’è fatta contenitore di creatività, nome di battaglia attraverso il quale acquisire quella maschera forse indispensabile per irridere e sovvertire.

Factory si direbbe ad altre latitudini – e, perché no, longitudini!

Trincerati dietro ad una genesi che risale ai propri avi, appaiono misteriosi e sfuggenti. Le informazioni che circolano su di loro, reperibili qua e la per la rete sono poche e ripetitive. Fa specie scoprire che la miglior recensione allo spettacolo Le clamorose avventure di Mario Pappice e Pepé Papocchio sia stata scritta da un giornalista di Libero – sarà forse dovuto al fatto che in quella redazione v’è una certa affinità culturale con le atmosfere, avanguardiste ed ardimentose, degli anni ’30.

E’ dunque la voglia di ampliare il discorso su di loro, ed in un certo qual modo provare a presentarli per la prima volta, che mi ha spinto a realizzare questo mini-speciale dedicato a DoppioSenso Unico. Approfondimento dedicato alla conoscenza della loro produzione video-cinematografica.
Una delle caratteristiche che più mi hanno colpito è il carattere onirico ricorsivo presente in ogni loro produzione (ovviamente con diversa gradazione), attitudine insolita per la scena nazionale. Il cinema italiano sembra incapace di raccontare esperienze oniriche allo spettatore. Il tòpos del sogno ad occhi aperti è sostanzialmente scansato dagli sceneggiatori e quelle poche volte che se ne fa ricorso gli esiti sono sostanzialmente ingenui e goffi. Altre sono le cinematografie oniriche (in primis la nordamericana). L’Italia, è bene però ricordarlo, quando all’inizio del secolo scorso fu tra le più rinomate cinematografie mondiali eccelleva proprio nel genere (tra)sognante, caratterizzandosi negli albori del cinema per rigore formale ed innovazione narrativa. Basti citare Malombra, il capolavoro di Carmine Gallone, che nel 1917 (anno di rivoluzioni!) ottenne importanti riconoscimenti di pubblico e critica (pessima formula ma sempre efficace!) dando il via ad un filone assai copioso di pellicole tutte dedicate a donne eteree in pericolo (la “prima” fu Lyda Borelli). Poi venne il fascismo e tutto svanì, proprio come capitava alle protagoniste dei film in questione, il sogno (soprattutto quello perturbante) scomparve dagli schermi italiani surrogato da candidi sogni ad occhi aperti del nobilame dell’era dei telefoni bianchi. Il dopoguerra escluse questo tipo di cinema dal suo corpo, bollandolo come reazionario. Non è dunque un caso che l’estetica dei filmmaker in questione sia così chiaramente debitrice di quella d’inizio secolo, fatta di grammofoni silenti ed iperboli provocatorie di matrice dadaista-futurista, credo anzi che ci si trovi di fronte ad una esplicitazione di quei processi storici che spesso (s)corrono sotterranei e invisibili, evidenziabili unicamente in fase critica e mai manifesti. Con i DoppioSenso Unico invece osserviamo la congerie dadaista-futurista essere nell’epoca nostra, la loro produzione produce straniamento sommato ad una strana sensazione di già-visto-mai-visto.

E’ inutile provare a storicizzare ciò che si svolge sotto ai nostri occhi, forse proprio per questo ho sentito la necessità di chiederlo direttamente a loro, ed ho incontrato Ivan Talarico. Catalogare e classificare – in fondo – non serve proprio a niente, a meno che l’interesse di chi scrive non sia quello di aiutare la sopravvivenza all’oblio di Opere che si ritengono ingiustamente poco conosciute, Opere che ci si adopera di consigliare.

 

CartolinaLunedì 2 febbraio 2009

 

Inizierei dalla vostra storia, o più in generale dalla vostra identità. Che cos’è DoppioSenso Unico? Sul vostro sito [www.doppiosensouni.com] raccontate una storia incredibile di contadini dadaisti alla quale credo ben poco, ma che con frequenza ho trovato raccontata anche negli articoli che parlano di voi. Insomma aiutaci a sbrogliare qualche doppio senso legato a voi?

 

Il doppio senso è ovviamente unico. La storia che hai letto è romanzata per nostra indole picaresca ed epica, ma grossomodo corrisponde alla realtà. Nel 1932 tre dei nostri progenitori, probabilmente scalzacani agricoli che s’improvvisavano avanguardisti, guidati dall’eclettico Marco Antonio Scicchitano, iniziarono una sequela di spettacoli che sembrano ai nostri occhi delle piccole sagre di paese a sfondo surrealista. Dopo due-tre anni di questo lavoro, durante i quali registrarono ufficialmente la compagnia, il suicidio dello Scicchitano portò alla fine di quella formazione. Io e Luca (Luca Ruocco, ndr.) essendo originari degli stessi luoghi – ci conosciamo fin da piccoli, conoscevamo la storia. Quindi abbiamo iniziato già in Calabria a lavorare a un’idea di teatro. Qui a Roma abbiamo incontrato Lorenzo (Lorenzo Vecchio, ndr.) in un gruppo di teatro aperto e abbiamo concretizzato il nostro retaggio storico.

 

Al solito la realtà supera di gran lunga la fantasia! Esistono documenti di questa esperienza dadaista-surrealista?

 

Li stiamo radunando con l’aiuto dei genitori e il dispetto dei nonni superstiti, che vorrebbero insabbiare la vicenda. Abbiamo l’atto registrato, alcuni copioni e un breve filmato. Appena acquisiremo sufficienti dati correggeremo la storia romanza, dando veri nomi e veri volti ai nostri antenati. Non è bello scomodare i morti per cose approssimative: i defunti richiedono l’assoluto!

 

Dunque DoppioSenso Unico nasce da un passato remoto condiviso che avete scoperto immagino dai racconti dei vostri ‘avi’; com’è nata in te e Luca la scintilla creativa, la spinta a mettervi in discussione in prima persona. Vorrei sapere i vostri primi passi, magari quelli che dalla Calabria vi hanno portato a Roma. Te lo chiedo perché mi incuriosisce sempre investigare i motivi della scintilla creativa, credo che per il lettore sia sempre una delle cose più interessanti… per me senz’altro…

 

Guarda, io e Luca nel 1999, spinti da racconti d’infanzia, abbiamo iniziato a scrivere un copione che si intitolava Comico ergo sum… Sarebbe dovuto andare in scena a settembre dello stesso anno ma la cosa saltò. Convinti dell’impossibilità di mettere in scena qualcosa continuammo a scrivere teatralità fino ad un laboratorio che aprimmo a Roma con altri due amici, dal nome quelcheresta. In quell’occasione incontrammo Lorenzo e fu amore a prima vista, complice un cupido storico. Iniziammo subito a lavorare allo spettacolo Viageatruà, che calcò il Gran Teatro Ignazio Abbatepaolo nell’aprile 2005.

 

Il teatro è stato il vostro primo amore, il primo ambito d’espressione del vostro talento creativo. A Viageatruà è seguito nel 2008 Le clamorose avventure di Mario Pappice e Pepé Papocchio, poi ho visto sul vostro sito che organizzate anche laboratori e corsi di varia natura sempre attorno alle tecniche teatrali, con una particolare attenzione al ruolo dell’attore ed alla performance. Qual’é la vostra concezione condivisa del teatro? o forse sarebbe meglio domandarti qual’é la tua?

 

In realtà quello che noi chiamiamo teatro è un percorso che ci sta portando alla deriva. Non siamo accademici e non crediamo nello strofinio consumato delle grandi emozioni. Siamo partiti da uno spettacolo ordinatissimo e montato come un film, stiamo arrivando all’entropia di persone immaginate ed eventi ridicoli. Non è tanto il teatro come linguaggio codificato ad interessarci, quanto quello che possiamo fare su un palco davanti a delle persone, con delle persone, addosso a delle persone, derisi e carnefici delle nostre stesse idee. Anche perché nel teatro facciamo confluire video, spezzoni di radiofonie, risacche di liquidi arrossati, musiche e quant’altro possa divertirci.

 

Le clamorose avventureLa produzione video è un altro degli ambiti della vostra espressione, forse il principale… Intanto se puoi dirmi come si possono vedere i vostri lavori… se puoi cioè dare le coordinate ai lettori. E’ importante che chi legga quest’intervista abbia la possibilità di vedere concretamente la vostra produzione.

 

Viviamo momenti alterni… a volte rapiti da spettacoli, altre da video. E’ tutta una questione di concentrazione di forze più che d’amore. Tutti i video che abbiamo prodotto sono scaricabili dal nostro sito www.doppiosensouni.com o visibili in streaming sul canale youtube www.youtube.com/doppiosensounico

 

Nei video da voi realizzati, sette a partire dal 2004, è evidente un’attenzione alla cura dell’immagine, alla qualità formale dell’inquadratura; a mio modo di vedere il vostro risultato più convincente è il bellissimo ‘a suppa ‘e latte (diretto proprio da Ivan Talarico nel 2006, ndr), che considero un piccolo capolavoro del cinema indipendente italiano! Ci racconti qualcosa in più sulla vostra produzione video, come nasce? quali sono le modalità produttive?

 

Tutto nasce da un “pollo”. Nel 2003 mi regalarono una telecamerina samsung da pochi euro che sembrava un capponcello e con quella iniziammo ad abbassare la fedeltà del mondo. Muniti di un grandangolo di plastica molto spinto cercavamo con il minimo dei mezzi e dei soldi di fare qualcosa di diverso dal raccontare una storia per immagini. Il tutto lavorando con gente molto disponibile che si prestava gratis senza nemmeno conoscere interamente l’idea, a volte. Poi le derive: io tendo all’astratto disarticolato e umorale, Luca è più lanciato verso il genere, infatti lavora sul progetto di Horror Vacui che sta sviluppando su più cortometraggi. Lorenzo, poi, pensa solo alla luce… Infatti cura la fotografia.

 

Quindi il vostro è un cinema assolutamente indipendente, che si autofinanzia o, meglio, che produce le proprie opere senza la necessità d’alcun finanziamento?

 

Finora si. Ora stiamo elaborando progetti più complessi che richiederanno probabilmente più soldi, ma mai troppi. Luca è contrario agli effetti speciali in digitale e questo ci costerà un po’ di più… Comunque l’indipendenza è un’indole innata sulla quale non ci soffermiamo troppo… non penso che con dei soldi o finanziamenti saremmo “dipendenti” da un’idea o una modalità “di Stato”. E più che di cinema preferisco sempre parlare di video: è la liberazione dalle grandi macchinazioni che ci permette una parte di questa indipendenza. Quando dico cinema intendo immagine in movimento o linguaggio, dunque il video è una forma del cinema, questo nel mio modo di concepirlo.

 

Non è infrequente di questi tempi parlare con produttori di immagini in movimento che rifiutano la catalogazione del proprio lavoro in ambito cinematografica. Vj, videoartisti e spesso anche filmmaker puntualizzano la propria estraneità. Perché? Pensi che il cinema sia diventato un territorio troppo angusto per la creatività? E con questo parlo anche della modalità stessa della sua fruizione.

 

Io invece penso al cinema come struttura economico-industriale in stasi, penso alle pellicole vittime di storie inutili, rallentate da set ingombranti, appannate nelle buone intenzioni. O, se vuoi, supporti digitali ingombrati da milioni di porte che si aprono e si chiudono. Preferisco parlare di video, è più vicino alla mia mano. Per il cinema ci mancano i “soldi grossi”…

 

Quindi non consideri il vostro una forma di “cinema sperimentale”? Cioè non lo nomineresti mai così? Te lo chiedo perché mi interessa sapere come tu nomini il tuo lavoro, la tua produzione…

 

C’è un filone iniziato da Grifi sul video… nonostante lui fosse artigiano dell’illusione al cinema, si lanciò con fervore e incredibile ricerca nella produzione video. Perché girare costa! C’è poco da fare. Gli strumenti sono diversi: pellicola, nastro magnetico, digitale… ma sono surrogati di quella che è l’idea. Per me puoi chiamarlo cinema sperimentale, video avanguardistico, immagini in movimento frenetico… restano delle idee fissate in video.

 

E’ incredibile il fatto che il nome di Grifi esca spessissimo nelle chiaccherate che mi è capitato di fare con la nuova generazione di filmmaker italiani. Ed è incredibile quanto la sua opera sia poco vista e conosciuta, o meglio, è naturale! non potrebbe essere altrimenti.

 

Grifi è stato grandissimo e poco gli è stato tributato. Noi abbiamo avuto la fortuna di mandargli dei nostri video da vedere e di sapere che li ha apprezzati.

 

Avete mai mandato dei vostri video a festival nazionali ma non solo… che tipo di riscontri state incontrando?

 

I festival ci ignorano bellamente, tranne pochi gentilissimi (Filmmakers al chiostro di Pordenone, Levante Film Festival di Bari) e qualche altro interessato al genere (Tohorror, Pesarhorror). Siamo stati alla Mostra del Cinema di Pesaro, ma in una rassegna interna, proiettati in uno spazio gradevole ma visti da due soli filippini a cui abbiamo dovuto tradurre i pochi parlati… Quantomeno hanno molto apprezzato, da buoni filippini.

 

Fantastico! Credi che la poca attenzione prestata alla vostra produzione sia dovuta a questioni ‘politiche’ oppure sia ‘estetica’, destabilizzante per l’abitudine drogata ad un’immagine standardizzata e pacificante (o forse sarebbe meglio dire ‘pacificata’). Dico questo perché i vostri lavori risultano sempre destabilizzanti e vitali, capace di smuovere lo spettatore dal torpore della ‘produzione media corrente’…

 

Penso ci sia di base disinteresse. E soprattutto poca volontà nell’approfondimento. Tutto va bene fin quando passa in poco tempo. Oggi leggevo una rivista nella sala d’attesa del medico e alla fine di ogni articolo c’era scritto “tempo previsto di lettura: n minuti”. Nei nostri lavori oltre alla durata delle immagini c’è quella del pensiero che ti resta in testa e ronza un po’, reclamando attenzione. Forse è troppo da accettare.

 

Quali sono gli autori cinematografici che ami particolarmente? Magari qualche nome underground – poco noto – invisibile. Qualche consiglio insomma…

 

Alberto Grifi, Paolo Gioli, Svankmajer, Rybczynski, Nico D’Alessandria… tra i primi… nell’overground Carmelo Bene, Joao Cesar Monteiro, Werner Herzog, Mario Bava…

 

E fra i tuoi “pari”? Ovvero coetanei o giù di li? A proposito qual’é l’età dei DoppioSenso Unico?

 

Donatello Della Pepa e Fulvio Risuleo, tra i nostri amichetti. In generale, purtroppo, non ci appaiamo molto. Per quanto riguarda l’età abbiamo tutt’e tre 27 anni. Altri consigli in altri ambiti possono essere Giulio Perri per il teatro, Paolo Zanardi per la musica e Gabriele Paganelli per i blog… ma sono fulminazioni sfilacciate tra loro.

 

Voi siete localizzati geograficamente a Roma, quali sono i vostri luoghi, gli spazi che avete a disposizione per proporre e creare il vostro lavoro… insomma DoppioSenso Unico è una factory creativa (teatro, video, fotografia e musica) e come ogni factory deve avere un proprio luogo…

 

A Roma abbiamo colonizzato qualche isolato in zona Prenestina e questa consapevolezza ci spinge sempre più a cercare altrove. Comunque abbiamo un ufficetto/laboratorio lasciatoci in eredità da Residui Teatro al momento della dipartita per la Spagna, con annessa sala prove polivalente. Tutto ciò in un obbrobrio architettonico che agglomera due scuole, un municipio e una rampa carrabile.

 

Nulla di pubblico insomma, sono tutti spazi privati?

 

Ex spazi occupati sospesi negli sguardi sbarazzini dell’ordine pubblico. Al piano di sopra qualche anno fa c’era un Teatro, il Gran Teatro Ignazio Abbatepaolo. Sgomberato poi in fretta e furia per fare posto a un nulla comunale.

 

Anche qui a Milano la situazione è quella che è…

 

Immagino.

 

Hai accennato al fatto che state elaborando progetti più complessi sempre nell’ambito ‘video’. Ci può anticipare qualcosa?

 

Luca sta ultimando Le feste dei poveri, documentario su credo e credenze popolari calabresi, che ci ha portato a incontrare i Vattienti di Nocera Terinese, il cui mood riporteremo nel prossimo spettacolo Operamolla – the Flacio Show. Poi lui ha pronte le sceneggiature di Storia di un uomo proboscide e Nachzehrer, prosecuzioni del progetto Horror Vacui. Io ho in mente un lungo, Maliflusso, che parte da Debord e cade nel divertimento della finzione esibita e della crudeltà assorbita.

 

Due parole su Marco Antonio Andolfi te le devo chiedere. Raccontami un pò, come l’avete conosciuto. Avete conosciuto prima l’uomo o il regista dell’inarrivabile La croce dalle sette pietre? E poi com’è venuto fuori da questo incontro Riecco Aborym. Fra l’altro compare anche in Jekyll/Hide di Luca Ruocco in qualità d’attore.

 

A questa vorrei fare rispondere Luca, che è il discepolo naturale di Andolfi.

 

(Dopo qualche istante ricevo la risposta)

 

ViageatruàLuca: Conoscemmo Andolfi quattro o cinque anni fa. Incappammo per caso nel programma mensile di un locale romano, che prometteva un’intensa serata cinematografica con proiezione di La camorra contro il lupo mannaro in presenza dell’autore. Ovviamente non potevamo mancare. Il film rimane tuttora una delle cose più disturbate con cui ci sia capitato di entrare in contatto. Inutile dire che incontrare Marco Antonio Andolfi fu, per noi, ancora più importante di aver visto la sua opera. Venne rapito dagli organizzatori della serata, e si presentò al suo pubblico più eclettico che mai: tutto spettinato, in vestaglia e con un pacco postale sotto al braccio. Dopo il film e le ore di discussione, vedendolo andare via, sentii il bisogno di seguirlo, sul momento per chiedergli una copia del film. Già sapevamo che non ci sarebbe bastata una sola visione. Lo chiamai “maestro” e lui subito si riconobbe nell’appellativo. Gli domandai come potessi fare ad avere una copia dell’Opera, il Maestro si consultò col pacco che teneva sotto al braccio, poi si fece lasciare il mio numero telefonico. Ovviamente non ci richiamò mai più. Passarono alcuni mesi. Noi rimugginammo molto su quella figura, e sul tema dei lupi mannari e delle camorre, e dedicammo anche un video musicale al Maestro Andolfi. Riuscimmo a riincontrarlo ad un’altra proiezione, e gli mostrammo il nostro video. Lui si commosse e da quel momento non poté più fare a meno di noi. E noi di lui. La mattina dopo già usciva da una bara per il mio Jekyll/Hide. Riecco Aborym è il naturale sfogo di anni e anni di racconti e insegnamenti. Il Maestro Andolfi, che ancora trama nell’ombra alle spalle dell’umanità, voleva mostrare al mondo un altro tassello della sfortunata esistenza del suo Marco Sartori e, avendo condiviso con noi tutte le sue esperienze pregresse, ha ben pensato di coinvolgerci attivamente nel presente. E’ stato tutto parte di un processo molto organico.

 

(Riprendiamo dunque da dove eravamo rimasti)

 

Mi interessa indagare meglio i lavori da te diretti. Partirei da Sei brevi storie, come nasce e tecnicamente come l’hai realizzato? Immagino che sia stato prodotto con la telecamerina che chiami “pollo”…

 

Sì, infatti. Sei brevi storie è nato per provare il “pollo” prima di girare ‘a suppa ‘e latte, così come bitòni, in cui provavo il 16:9 artigianale. E’ un video molto casalingo, giravo in casa cercando libri, pupazzi, ricordi. Ho girato tutte le immagini senza sapere cosa avrei fatto, poi ho scritto e trascritto i diversi testi, tra cui quello delle mattonelle che mi perseguitava da quando ero piccolo. Ho doppiato e fatto doppiare a Natalia, una ragazza brasiliana che non conosceva una parola d’italiano e quindi aveva una pronuncia inconsapevole, e poi applicato massicce dosi di effetti, per rarefare voci e immagini. La musica era da un disco appena comprato di Diamanda Galàs, una voce che da sola scava nelle ossa di chi ascolta!

 

Sei storie brevi contiene un gran numero di riferimenti letterari, fra cui mi ha stupito molto trovare Ingebor Bachmann, un’autrice per niente conosciuta e nominata in Italia. Sapresti indicarmi la scansione delle citazioni nei 6 capitoli di cui è composto il cortometraggio?

 

Allora… qui mi chiami a memoria ferrea! Il primo l’ho scritto io. La rana aveva il finale tratto da tragedie in due battute di Campanile. Il pupazzo con l’occhio a pullitro era preso da un racconto di Poe, il cuore rivelatore. Quella delle mattonelle da selezione del reader’s digest di cui avevo una raccolta da piccolo, intitolata Il mondo dell’incredibile. Emma Parodi e Ingebor Bachmann le stavo leggendo in quel periodo e sono nel secondo e nell’ultimo.

 

Dunque questo primo cortometraggio lo consideri come un primo esercizio, una prova generale che ti ha dato modo di testare gli strumenti per il tuo far cinema (o video!)?

 

Avevo già girato Una piuma che cade e Disincanto, ma erano molto vincolati. Qui invece ero libero di fare quello che volevo e soprattutto avevo la videocamera (o pollo) in mano. Disincanto fu una bella esperienza per la musica, montavo e registravo/componevo la colonna sonora (una piccola sinfonia da camera) in contemporanea. Però la musica era molto più bella del video, troppo elegiaco e finto-iconoclasta.

 

Disincanto è visibile in rete?

 

No, ne è sopravvissuta solo la musica. Disincanto, per l’appunto!

 

C’è un gran lavoro sull’audio in tutte le tue/vostre produzioni, già in Sei storie brevi e da quel che mi racconti ancora prima. Raramente essa fluisce naturale. Perché quest’attenzione maniacale? Riformulo meglio… La voce nelle vostre produzioni è sempre un materiale grezzo da plasmare, da modificare e da alterare. E’ di provenienza teatrale questa vostra attenzione al dato acustico?

 

Intendi la voce o il suono?

 

Mi interessa soprattutto la voce. Volevo sapere se pure questo è “semplicemente” istintivo o se magari si rifà ad una qualche tradizione. Penso a Carmelo Bene soprattutto, alla macchina attoriale, alla sua concezione di voce amplificata.

 

Una figura come Carmelo Bene è ingombrante se si vuole fare qualcosa; ovviamente è un riferimento, ma da superare subito a piè pari. Noi andiamo molto ad orecchio: gli stimoli sono tanti e anche i riferimenti, ma è importante anche giocare con i suoni e le modulazioni, lasciarsi andare al borborigmo disinvolto, spiazzare a colpo d’occhio bocca e orecchio.

 

Stupire lo spettatore. In fondo DoppioSenso Unico cerca questo. Smuovere lo spettatore, l’uomo (o donna che sia) dal torpore della produzione teatral-musical-video-fotografica corrente?

 

Smuovere e stupire… forse spiazzare è meglio, tagliando trasversalmente genti e linguaggi. E poi il divertimento… quasi imbarazzante! Nell’ultima cosa che abbiamo fatto (Pappice e Papocchio) sia girare i video che recitare in scena ha dato molto più piacere a noi che a chi poi ha visto. Dobbiamo darci una regolata!

 

In Le clamorose avventure di Mario Pappice e Pepé Papocchio il pubblico che assiste alla vostra esibizione viene assalito da questa vostra carica eversiva delle normali regole di fruizione. Il pubblico viene schizzato con un liquido rossastro e continuamente minacciato di nuovi spruzzi. Così anche nel cinema perseguite questo fine sempre con soluzioni estetiche destabilizzanti; proprio per questo considero ‘a suppa ‘e latte il vostro/tuo miglior esito. Raccontami un po’ di questo groviglio onirico.

 

E’ un lavoro che contiene davvero di tutto…. E’ stata una lavorazione molto confusa e lunga. Avevo scritto due paginette di soggetto, partendo dall’idea della tazzina di caffè che cadeva uccidendo un uomo. Tutta la parte iniziale è stata girata in quattro giorni lunghissimi alle prese con furgoncini e bare, set e illuminazioni improvvisati, senza una continuità o un’idea complessiva precisa (ho ristampato innumerevoli volte le due paginette che non riuscivo a ricordare). Mi piaceva cercare delle cose sul “set” e inventarne altre che non erano scritte. Tipo la scena dei due satiri con l’uovo, nata dopo aver visto il letto inclinato da una qualche scintilla. Con questo pacchetto di immagini ho realizzato dei trailer, ma problemi di montaggio mi hanno bloccato per un annetto. Poi ho girato le scene con Marta e Francesco – i due che si mangiano – (Marta Drewnoska e Francesco Spagnolo, ndr) provando altre cose che mi interessavano e quelle con Antonio e Flavia, chiudendo il girato (Antonio Rezza e Flavia Mastrella, ndr). Alla ricerca di un ordine, la ripresa dei miei nonni all’inizio mi ha consigliato di cercare negli archivi video di mio padre, vhs di paese anni 80 e quindi ho iniziato a sviluppare questa nonstoria vista da anziani morti tanti anni prima con questa presenza nascosta da un paltò che oscilla tra uomini mancati e doppelganger temuti, e che trova la pace nella morte del sogno – che la rende cannibale e che rende poi la pelle pellicola/nastro mangiata da due “divoratori di film”.

 

E’ un lavoro molto interessante perché scavando nell’onirico percorre una strada poco battuta dal cinema italiano (a tal proposito c’è un saggio che ricordo d’aver letto ma che non rintraccio più nei meandri delle mie librerie), forse perché – come dicevi – il cinema è diventato più che altro un business, un accrocchio da dover costruire come un prodotto, a tavolino, calcolando ogni centesimo. La tua/vostra forza risiede in questa libertà, che poi è povertà di mezzi e soldi. Dunque la vostra ricchezza creativa è figlia tout court della povertà. Ritieni questa affermazione una puttanata, cioè se qualche d’uno vi finanziasse non sarebbe poi così male?! oppure ci trovi qualcosa di vero?

 

Guarda, già Ejzenstejn separava cinema industriale da cinema di ricerca; siamo tornati molto indietro rispetto a certe avanguardie. Come ti dicevo ieri la libertà è qualcosa di molto più forte della povertà, magari ci dessero molti soldi da sputtanare in film senza storia né gloria! Se hai idee e attitudine tutto il resto è relativo. Fai con quello che hai.

 

Quali sono state le occasioni di mostrare i vostri lavori? Me l’hai già accennato in una risposta precedente, ma vorrei approfondire la questione. Cioè quali spazi vi sono stati offerti per mostrare i vostri video? ‘a suppa ‘e latte per esempio, non riesco a credere che non sia stato preso in considerazione da qualche festival…

 

Hanno girato pochissimo, quasi sempre prendiamo le persone e glieli facciamo vedere noi, o ci accontentiamo della pezzenteria qualitativa di youtube. ‘a suppa ha girato pochissimo. Già Alma [gotica], che è più cristallino, ha avuto molto più seguito.

 

Proprio perché “di genere” e dunque più facilmente collocabile!

 

Be’, è fatto bene, pulito, strutturato. Un gioiellino tra le nostre cose.

 

Assolutamente, l’intera serie Horror Vacui è davvero sorprendente. Con scelte formali davvero notevoli! Ti va di fare nomi. Potresti raccontare ai lettori di RC quali sono i festival che non hanno accettato ‘a suppa? Se non te lo chiedessi che rivista indipendente saremmo?!

 

In realtà non puoi dare le colpe ai festival, probabilmente sono i festival sbagliati a cui presentare queste cose. Ho avuto uno scambio di mail con il Torino Film Festival che poi alla fine non è stato interessato; comunque calcola che lo abbiamo mandato a quasi tutti i festival in Italia.

 

Le clamorose avventurePerché non dovremmo dare la colpa ai selezionatori dei festival?! Tu pensa all’ultimo obbrobrioso Festival di Roma, pensa a quanta produzione scadente è autarchicamente passata nelle varie sezioni.

 

La cosa non ci turba. Entriamo casa per casa, improvvisiamo bancarielli nelle piazzette, organizziamo autocelebrazioni estemporanee. Chi poco-poco fiuta, ha l’opportunità di vedere. Chi non è interessato meglio non veda. Io comunque guardo poco, ogni volta che vado al cinema sbaglio e poi passo giorni di fastidio.

 

Sul numerodieci di Rapporto Confidenziale hai parlato della produzione di corti della coppia RezzaMastrella. Capita spesso che quando si fa della critica, o delle riflessioni, su opere d’altri in parte si voglia un po’ parlare di se. Lo dico da esperto in materia… E’ troppo sbrigativo secondo te raccontarvi come prossimi a quell’esperienza ed a quella produzione o può essere un buon punto di partenza per parlare di voi? Oltre il grottesco, il titolo di quell’articolo, può essere la vostra traiettoria artistica?

 

Rezza e Mastrella sono sicuramente grandi riferimenti. Abbiamo collaborato con loro e li stimiamo molto. Fortunatamente facciamo cose molto diverse, nonostante delle affinità elettive. Infatti, proprio quel titolo segna un distacco netto: noi siamo nel grottesco, lontani dal loro flusso immaginifico, viviamo d’inquietudini immaginate che li fanno sorridere.

 

Mi racconti della vostra collaborazione. So che state lavorando al suo Ipotesi di un film su Cristo morto, del quale ho avuto modo di vedere una mezz’ora di ‘work in progress’ alla milanesiana del luglio scorso e che mi ha dato l’impressione d’essere un Opera assolutamente geniale, forse la migliore firmata ‘con immagini in movimento’ da Antonio Rezza, so anche che avete la consegna di non parlarne più di tanto. Ti chiedo solamente se hai l’impressione, lavorandoci, di trovarti di fronte ad un qualcosa di eccezionale?

 

Lavorandoci si capisce poco, Antonio è un turbine. Rivedendo le immagini si avverte l’aria del capolavoro.

 

Per concludere ti pongo una domanda che da qualche tempo faccio sempre alla fine di queste chiacchierate fiume. Alla luce della tua esperienza di produttore di immagini in movimento, ti chiedo cosa dovrebbe fare al giorno d’oggi una rivista cinematografica. Di cosa dovrebbe parlare ed in che modo? Quale può essere la sua utilità?

 

Guarda, basterebbe smetterla con la critica pipparola di gente esaltata e approssimativa e parlare di quello che si vede con schiettezza ed approfondimento. Si dovrebbe parlare di film e di meccanismi, scavare. Riassumere la trama di un film o fantasticare sul virtuosismo di un piano sequenza è inutile.

 

Fine! Metto fine a questo profluvio di parole scusandomi per aver approfittato del tuo tempo. E’ che mi interessa provare a capirvi. Provare a capirci qualcosa di più perché credo che fra un po’ di tempo saranno in molti a conoscervi. Trovo la qualità dei vostri lavori davvero sopra la media e così anche il vostro talento (attoriale e non solo!). Insomma, sono un vostro estimatore!

 

Grazie, sei stato veramente esaustivo, al limite dell’indiscreto!